In Serie A dal 2011, internazionale per la CEV dal 2014 e FIVB dal 2020. Mauro Goitre, nato a Torino nel 1976, ha alzato l’asticella negli anni fino a diventare uno dei migliori arbitri del mondo della pallavolo.
Mauro Goitre, quanto sono stati importanti gli errori nella tua carriera?
“Sono stati fondamentali. Non esiste non solo una partita, ma un ambito della vita in cui non si commettono errori. Quando scendi dal seggiolone pensi sempre di aver fatto una grande partita, ma devi cercare cinque ambiti di miglioramento, cinque scelte che, ripensandoci, potresti migliorare, pensando anche alla soluzione. Poi riuscirci è un’altra cosa, perché scattano gli automatismi: l’attaccante sul 24-24 gioca il suo colpo migliore , la stessa cosa gli arbitri. Gli errori sono fondamentali nella crescita di un arbitro. Parlo sempre di consapevolezza: più sai individuare gli errori, più puoi crescere. Vi racconto un episodio: arbitravo da primo, il mio collega da secondo, e abbiamo chiuso un campionato di A2 con un errore, una palla toccata che in realtà non lo era. La partita era Molfetta-Padova del 2013, valeva la Serie A. Non c’era il check e quell’errore ha pesato nelle nostre teste e pesa tutt’ora. Un tarlo che è sempre nella mia mente”

Come gestisci il rapporto con giocatori e allenatori?
“Con il sorriso. La parte più difficile è che se arbitri dei campioni, devi essere convinto anche tu di essere un campione nella tua categoria. Altrimenti non riesci ad avere un rapporto da pari a pari, da arbitro a giocatore o allenatore. Devi essere consapevole di essere bravo come loro. Esiste un “prima” della partita, un “durante” e un “dopo”. Ti puoi trovare al ristorante insieme alle squadre, bere una birra con loro, sedersi al tavolo con allenatori e dirigenti. È una crescita anche quello. I miei figli, ad esempio, giocano con i figli dei giocatori, si conoscono, indipendentemente delle polemiche e dalla difficoltà nei rapporti. Ovviamente, nel rispetto del ruolo ma con il massimo rispetto: tu sei un campione e la gente viene nel palazzetto per vedere te giocare, il mio compito è non rovinare il gioco. Vince lo spettacolo, arbitrare è un canalizzare un fiume che va in una direzione, fare sì che non esondi e non ci siano allagamenti. I cartellini servono per contenere il fiume”

Il 25 marzo partirà un nuovo corso arbitri. Cosa consigli alle nuove leve e perché iscriversi?
“A tutti i giovani arbitri consiglio di trovare amicizie nel mondo arbitrale, di mettere alla prova sé stessi con le difficoltà, senza timore. Di metterci impegno perché riceveranno soddisfazioni e quando riceveranno critiche molto severe, capire che il loro io è più forte delle critiche che riceveranno sui social, nel mondo reale. Esiste un’identità e arbitrare la fortifica. Jovanotti diceva cerca di essere l’uomo prima di essere gente: arbitrare significa crescere. Auguro ai giovani di trovare amicizie e di coltivarle. Arbitrare è un’attività individuale ma se esiste un gruppo rimani dentro questo sport più tempo. Una volta andai a Trento per una lezione tecnica e come al solito chiesi a tutti perché facevano l’arbitro. Chiesi lo stesso anche a una ragazza che mi rispose: “Perché è l’unico momento in cui posso dire ad un uomo cosa posso fare e lui mi deve ascoltare. Inoltre, siccome i miei genitori non sono d’accordo, sono autonoma: prendo il treno, vado ad arbitrare, è qualcosa di mio”. Anche io andavo ad arbitrare da solo: significa sperimentare, crescere, trovare soluzioni. Auguro ai giovani di fare queste esperienze, di diventare grandi”

Domenico Marchese