L’intervista con uno dei punti di riferimento dei fischietti piemontesi con una piccola anticipazione
Giuliano Venturi, cosa significa per lei arbitrare?
“Dentro questa domanda, c’è molto della mia vita. Sono 36 anni di attività, ho iniziato nel 1989, avevo 19 anni: prima era un gioco, una scommessa, oggi è ancora un divertimento, una costante ricerca di miglioramento per professionalità e qualità, ma anche tanta passione. Per me è stata anche formazione caratteriale, capacità di relazionarsi con gli altri: pensi di essere solo, ma non lo sei, devi sempre rapportarti con qualcuno e quando arrivi a certi livelli queste situazioni ti trasmettono personalità e carisma. Significa formarsi e forgiarsi per sostenere un certo tipo di platea, qualunque essa sia”.
Qual è la partita che ricorda di più?
“La finale di Coppa Italia del 2016 di Serie A2 maschile, al Forum di Assago davanti a 8000 persone. Una partita incredibile. Poi ce ne sono state altre importanti, ma quella la ricordo con maggiore intensità emotiva”.
E la più difficile?
“Civitanova-Perugia del 2018-19, finita 0-3. Non tanto per la difficoltà stessa della partita, ma perché arrivavo da “sbarbatello”. Ero stato da poco immesso nel primo gruppo di merito, non mi conoscevano granché. Non è stata complessa, ma per me molto difficile. Poi la finale promozione in Superlega giocata a Castellana Grotte: è stata importantissima perché mi ha dato il lasciapassare per il primo gruppo di merito”.
Perché qualcuno dovrebbe scegliere di diventare arbitro?
“Per passione e amore per questo sport. Se inizi ad arbitrare per soldi, non farlo. Se lo fai perché non sai cosa fare, duri poco. Se lo fai perché hai passione, voglia di metterti alla prova con un’attività che sicuramente ti darà delle soddisfazioni, che ti farà incontrare tantissime persone e ti farà fare esperienze indimenticabili, allora sì. La pallavolo mi ha forgiato il carattere, mi sono avvicinato all’arbitraggio perché giocavo a pallavolo ma non avevo spazio, portavo le bottigliette da una panchina all’altra senza mai giocare. Allora un giorno ho detto “voglio essere protagonista di questo gioco”, e sono salito sul seggiolone. Ci saranno mille difficoltà da affrontare, giornate storte, sfortunate, una mancata promozione, perché anche noi abbiamo una classifica: non bisogna mai mollare, sono caduto tante volte, sono anche retrocesso di gruppo. Ma non ho mai mollato. Iniziare a fare l’arbitro significa mettersi alla prova, avere voglia di confrontarsi con se stessi. Di base bisogna amare la pallavolo: è quasi una vocazione”.
Per finire una piccola anticipazione, visto che sarà Commissario arbitri del CT Torino per la prossima stagione. Quali idee vuole portare avanti?
“Quello che ho proposto al Consiglio territoriale, e su cui ci siamo trovati d’accordo, sono i due cardini del reclutamento e del mantenimento. Sul reclutamento a volte basta pubblicizzare la propria attività, coinvolgere le società, sfruttare i successi delle nazionali e la massiccia presenza di squadre di vertice sul nostro territorio. La difficoltà è proprio il mantenimento e su quello dobbiamo agire. Dobbiamo fare di tutto per far si che i giovani non scappino dal ruolo. Negli anni in cui facevo il designatore, mi rendevo conto che l’estate diventava un dramma: gli arbitri arrivavano saturi dalla stagione intensa, poi da luglio a settembre c’era quasi il fuggi-fuggi. Dobbiamo intercettare questa sacca di disinteresse che si forma nel periodo estivo: ci dovremmo impegnare per questo senza dimenticare la qualità. Mantenimento significa anche portare ai vertici molti più arbitri: qualche anno fa eravamo dieci in serie A, oggi siamo quattro”.